Enrico Pili (a destra)

RESOCONTO QUASI-STENOGRAFICO INVIATO A D.B.

La serata si è conclusa circa otto ore fa. Il pubblico, ad altissima densità di scrittori, ha partecipato con lenta, inesorabile passione. A una scarna introduzione è seguita l'intrattenimento sul tema, il quale colui che egli esso insomma il contatto con l'oggetto era piuttosto intermittente, ma molto acrostico. Nel cuore di Milano, nel cuore dei Navigli ancora piangenti per la scomparsa di Alda Merini, nel caveau della cultura marginal- sinistrosa- citylight abitato ancora dal fantasma di Primo Moroni, pioveva. Intendo sia fuori che dentro. Pure sul tavolo dei relatori, pure clop clop sulle poesie di Pao Tze Tung. Ma il giovin scrittore si è dibattuto come un leone. La tua assenza è stata più cospicua della tua presenza, e sei stato chiamato con nomi diversi e ciascuno indicava esattamente una tua qualità. Del resto, sopra le quindici persone sarebbe stata una folla, e allora non sarebbe stato neanche un po' vero. Non appena Pili ha estratto dalla borsa il prezioso "signor Arkadin, me ne sono appropriato e l'ho strenuamente difeso dai predatori. Grazie, un nodo mi serra la gola. Mentre, letteralmente, pioveva da un lucernario sui relatori, ho avuto modo di ripercorrere la mia vita in un lampo, e ne desumo di averne sprecata buona parte. Non tutti possono vantare risultati così consolanti. E questo è tutto. Arkadin.
PS Grazie per la dedica, Enrico si è lamentato, con isolano risentimento prodromo di vendetta barbaricina, della troppa attenzione che mi hai usato regalandomi Welles. Dice che a lui l'hai dato in sola lettura e a me pure in custodia. Sai come sono i sardi: sono capaci di metterti i visceri in mano. Intendo i tuoi, caldi caldi. Ho allora escogitato, se sei d'accordo, di tenerlo un anno io e un anno lui. A novembre dell'anno prossimo glielo spedisco.
Aiò.
(ma il libro, purtroppo, è rimasto soltanto a me. Anche di questo, Caro Enrico, sono addolorato.)